ci vuole un risarcimento

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Io credo che debbano esserci ancora dei permessi Covid per i genitori. O un risarcimento, ma non in denaro. In ore di sonno, di svago. O anche di assenza.

Ogni giornata ne vale 4. Perché le procedure per ciascun luogo frequentato dai figli prevede un modulo, un form, un’autocertificazione, 27 firme e 45 giuramenti con la mano sinistra alzata e la destra appoggiata sull’ultimo DPCM. Tutto questo dopo aver misurato la febbre e aver fatto domande circostanziate, come “hai dormito bene? Hai bisogno di un intero pacchetto di fazzoletti oggi o ne basta uno per tutta la giornata?”. Perché si sa che i motivi per non andare a scuola sono sempre stati vari e creativi per ciascun minore sulla faccia della terra e il giusto e sacrosanto scrupolo attuale è per loro manna dal cielo.

Ogni giorno esci di casa con alcune certezze: alle 14,45 ci sarà la preparazione fisica laces, alle 15,25 la lezione di chitarra, alle 17 l’allenamento di basket e di trampolino, alle 18,30 l’altro allenamento di basket, alle 20,30 la riunione di catechismo (*). E hai già fatto i salti mortali per incastrare tutti gli accompagnamenti, utilizzato nonne, genitori di compagni di classe, trampoliniste neo patentate. E poi, tempo di fare il viaggio in tram da lavoro a casa e tutto si stravolge: il secondo basket è spostato e si sovrappone alla preparazione atletica, ma sarebbe importante fare tutte e due le cose e allora si cerca un altro incastro. Vai a dormire quasi certa di avere un quadro preciso della giornata in cui ti sveglierai, ma l’imprevisto è dietro l’angolo. E non si tratta di quel numero con una cifra dopo la virgola che ogni mattina aspetti trepidante mentre spari in fronte col termo scanner ai tuoi figli (ho visto una sola volta un 7 e ho tremato, ma fortunatamente dopo la virgola c’era uno zero che più tondo non si può). No, questa mattina erano tutti ampiamente sotto i 37. Ma c’è l’agitazione da squadra nuova di basket e magari un po’ di sonno e il fatto che negli ultimi 7 giorni abbiamo vissuto nel centrifuga insalata emotivo e ne siamo usciti tutti un po’ malconci. Fatto sta che un figlio che alle 7,40 sta sul divano con gli occhi pieni di lacrime e ti dice che non si sente bene (perché non vuole andare all’allenamento di basket) ti obbliga a ricambiare i programmi e avvisare la mamma dell’amico (grazie, non mi serve più il passaggio in palestra), la nonna 1 (grazie, non devi più correre tra una nipotina e l’altro), la nonna 2 (grazie, oggi li prendi tutti tu e nei vari accompagnamenti avrai in macchina il pieno di lacrime di questa mattina).

Era già complicata la mia vita 12 mesi fa, con tre figli e un lavoro. Ma quest’anno mi sembra di superare ogni giorno le 12 fatiche di Ercole, tra moduli e burocrazia, norme igieniche, antenne sempre pronte a captare malesseri che possano essere fonte di contagio. E poi cambiamenti di programma continui, perché appena c’è un compagno di classe o di sport che forse è passato di fianco a uno che conosceva un altro che ha preso l’ascensore dopo il signore del quinto piano e ha schiacciato anche lui il tasto del piano terra e il signore del quinto piano ha un amico del bar che è risultato positivo al Covid (e “chealmercatomiopadrecomprò”), tutti gli impegni vengono messi in discussione perché bisogna evitare di incontrarsi, anche solo per errore.

Non mi sto lamentando, non ho intenzione di smettere di compilare i moduli, controllare che abbiano sempre le mascherine in cartella o misurare la febbre, giurare sui DPCM e sulla testa di Conte. Ma sono stanca, come se fossimo già al 2022, e sono sicura che la mia faccia lo dica a tutti.

(*) questi sono gli impegni, di oggi, dei miei figli. Lo giuro, sulla testa mia.

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