zitti e buoni

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“Non avete diritto di fare sciopero, perché io ho preparato una lezione da fare questa mattina”

Li vogliamo così: zitti e buoni, grati di imparare chiusi nelle loro stanze. Isolati dal mondo e impegnati solo a rendere merito ai nostri sforzi per infilare nelle loro teste ciò che noi riteniamo gli serva. Non gli facciamo domande, l’obbedienza non richiede uno scambio. Non gli chiediamo opinioni, l’immagazzinamento di nozioni non prevede pensieri. Esigiamo obbedienza e fedeltà. E magari pure il buon umore, che la nostra giornata lavorativa è tanto difficile. Magari potessimo stare noi a casa tutto il giorno sul divano o sul letto, a seguir le lezioni in pigiama.

E qualcuno di loro, gli adolescenti, si sta abituando a questa asticella messa talmente in basso che per superarla basta strisciare per terra, comprimere ogni ambizione, sogno, speranza. Rinunciare a qualsiasi prospettiva. Che poi è l’esatto opposto della formazione. Perché nessuno si forma per l’oggi, ma per il domani. E se il domani glielo tolgono o evitano di parlarne in qualsiasi forma, allora chi glielo lo fa fare di sforzarsi oggi? A che pro dovrebbero seguire lezioni a distanza, togliersi il pigiama al mattino, fare i compiti al pomeriggio, rispettare le scadenze? Se nessuno parla di loro e sono scomparsi da qualsiasi discorso pubblico, da qualsiasi progetto politico o di società, perché dovrebbero impegnarsi oggi? Gli adolescenti sono fantasmi, di cui abbiamo smesso di occuparci. Vogliamo da loro obbedienza e fedeltà, come in un collegio o in una caserma (e la citazione dei due reality secondo me peggiori degli ultimi anni non è casuale).

Non hanno diritti e poi ci lamentiamo che non pensino di avere dei doveri, che non sentano il sacro fuoco a costruire il bene comune, a proteggere i deboli. Glielo chiedono quegli stessi adulti che aspettano (o accettano) i condoni, senza fare uno più uno e realizzare che le tasse non versate servivano a proteggere i deboli: i malati, gli anziani, i disabili, i bambini. E a costruire quelle strutture (fisiche o di relazioni) che di loro si potevano occupare: gli ospedali, i servizi sociali, i supporti alle famiglie, le scuole. Li abbiamo dimenticati in casa e in questa seconda versione del lockdown li abbiamo anche lasciati da soli. Perché noi adulti continuiamo a uscire e andare a lavorare, perché l’economia deve ripartire, i consumi devono ripartire, la produzione deve ripartire. Loro possono aspettare. Possono ancora fare un sacrificio per consentirci di costruire un futuro in cui non hanno diritto di parola.

C’è un’emergenza e non sto parlando di quella sanitaria. C’è un’emergenza di ruoli che si giocano sempre e soltanto nella relazione con un altro diverso da noi. In questa emergenza di ruoli gli adulti e il mondo che rappresentano diventano muri di gomma contro cui rimbalzano le proteste e le proposte degli adolescenti. Non esiste dialogo, mediazione, relazione: solo un continuo rimbalzarsi addosso che sfianca chiunque, sfibra ogni resistenza. E annichilisce qualsiasi desiderio di cambiamento. O qualsiasi desiderio e basta.

Bisogna trovare gli spilli per creare tanti piccoli buchi in quella superficie continua, liscia e lucida, fori che inizino a far sfiatare il monolite. Tante parole e azioni come spilli, per smettere di essere zitti e buoni e diventare parlanti e vivi. Che a stare zitti e buoni c’è sempre tempo da morti.

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