dove porre l’asticella?

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Ognuno di noi è diverso, come persona e quindi come genitore ed educatore (perché quello diventiamo automaticamente, competenti o meno, quando mettiamo al mondo un figlio). C’è chi centellina le esperienze e i rischi, convinto che ogni cosa vada dosata e offerta premasticata ai pargoli, e chi taglia buchi nel ghiaccio per buttarci dentro la prole, in un bagno gelido e tonificante che rende forte (o ammazza).

E in questo panorama di ragazzi diversi e di metodi educativi molto distanti tra loro, il resto del mondo che si relazione coi nostri figli deve decidere dove porre l’asticella della propria offerta.

Ho sentito genitori di ragazzi di prima media sdegnati perché i professori li hanno lasciati in giro da soli per un’ora a Rapallo  (“hanno avuto un bel coraggio”, mi dicono mentre aspettiamo il pullman, “si, in effetti è vero, sono contenta che siano così coraggiosi” rispondo con la voce rotta dall’ammirazione per questi educatori, “e se un ragazzo entrava in un sexy shop e chiamavano i carabinieri, di chi era la colpa?”, dice la mamma, preoccupata forse perché consapevole che a Rapallo la percentuale di sexy shop sia ampiamente superiore alla media).

Ho sentito catechiste sostenere di aver difficoltà a far fare esperienze di volontariato ai ragazzi di 11 anni perché non tutte le famiglie vogliono che il catechismo sia occasione di incontro con gli altri e di esperienze di vita comune, ma semplicemente pretendono che i figli imparino delle cose per fare la comunione o la cresima. Come una raccolta punti di quelle del supermercato, come la poesia (o la preghiera) da imparare a memoria e recitare a pappagallo, anziché un’esperienza che li faccia crescere e interrogarsi su cosa vogliono essere, quali valori sono importanti nella loro vita.

Ho sentito genitori lamentarsi per i 3 allenamenti settimanali di basket, perché i ragazzi non avrebbero tempo per fare i compiti e sarebbero troppo impegnati, chiedere di spostare i giorni, gli orari, di abbassare la richiesta da fare ai loro figli.

È sempre una questione di equilibrio, di altezza alla quale mettere l’asticella della propria proposta. È sempre una questione di dialogo, tra l’affermazione dell’obiettivo di un’offerta educativa e le abitudini degli utenti. Non le loro esigenze. Perché se penso alle esigenze dei ragazzi del 2015, di quelli che hanno 5-6-7-8-9-10-11 anni (e ne conosco tanti, ne vedo passare molti nella mia vita quotidiana), ai loro bisogni inespressi  trovo l’autonomia, il senso di responsabilità, la capacità di progettare e di progettarsi, la gestione del tempo, la curiosità e l’ascolto di ciò che è fuori da loro. Il mettersi alla prova per scavalcare un’asticella posta sufficientemente in alto per farli crescere, per sfidarli, per farli diventare il meglio di quello che possono essere. Perché se restano in un nido fatto di abitudine e inerzia, se incontrano insegnanti, catechisti, allenatori ed educatori che non gli offrono più di quello a cui sono abituati, cresceranno come una foglia accartocciata su se stessa, priva di acqua e di luce.

È faticoso mettere l’asticella un po’ più in alto, perché vuol dire avere un sogno, un progetto, un obiettivo e chiarirselo bene in mente. Vuol dire accettare che non a tutti andrà bene la nostra proposta e che qualcuno farà un’altra scelta. Ma avrà scelto e questo, per chi fa l’educatore di mestiere o come volontario, è un obiettivo raggiunto. Anzi l’obiettivo.

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