è bella la vita che scorre

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Questo è un post confusionario e scomposto, com’è la vita di questi tempi. È un flusso ininterrotto ma poco organico di pensieri e cose che avvengono e su cui mi fermo un tempo indefinito, a volte poco, a volte tanto. Un post di vita che scorre senza un ordine preciso.

È bello immaginare una vacanza, cercare campeggi e guardare le spiagge su google maps. Mandare richieste di affitto per bungalow e notare che le strutture per 5 persone sono sempre meno, ma forse stanno per finire le vacanze in 5. È bello pensare che per una settimana le mie orecchie sentiranno la lingua degli affetti e il suono dei denti che affondano nel croissant. Che i miei pensieri, i miei ragionamenti e i miei desideri saranno in un’altra lingua che è quella della me a 16 anni.

È bello avere un nuovo libro in cui immergersi, una storia dolorosa da esplorare. È forse ancor più bello quando non stai proprio ottimamente. Perché la fatica, il dolore, la preoccupazione a volte rendono più prossimi, più capaci di osservare i segni che la vita lascia sugli altri, più capaci di entrare in quel dolore, che sia reale o narrativo. E ti danno il coraggio di parlare di cose che sembrano tabù e invece hanno bisogno solo di un po’ di sfacciataggine per essere nominate (e a volte questo le fa diventare più piccole).

È bello andare in bici in due, uno davanti e l’altro seduto dietro sul portapacchi. Sentire le mani piccole che si appoggiano sui miei fianchi, avvisare per ogni salto o buca della strada, rallentare in corrispondenza dei paletti. E parlare: della giornata che sarà, del centro estivo che alla quarta settimana inizia ad annoiare, del programma delle cose da fare insieme nella prossima giornata di cassa integrazione, della nostra allergia ai pollini e all’erba appena tagliata. Ed è anche bello aver scoperto la bici come mezzo di trasporto a 40 anni suonati, meglio tardi che mai (e dovrei avere ancora qualche anno davanti per continuare a usarla in sicurezza).

È bello saperla sul pullman da sola e non aver bisogno di chiamarla mentre si sposta. Perché è sicura di quello che sta facendo, non ha paura di crescere. È bello parlare chiaramente con lui di quali responsabilità comporti il suo ruolo e, dopo qualche mugugno, vederlo chino sulla cartina a cercare un percorso da fare con la squadriglia o sentire che ha dato disponibilità per seguire i ragazzi della scuola media nel centro estivo. È bello avere dei figli permeabili alle proposte e non dei muri di gomma su cui ogni cosa rimbalza senza lasciare traccia.

È bello il messaggio di un’amica che inizia con “Di te adoro” o la premura di un’altra amica che ti scrive ogni giorno, per stare vicine anche se il tempo per vedersi non c’è. È bello dire a qualcuno che può appoggiare la sua fatica su di te, non per vederla sparire ma per vederla accolta. È bello andare a casa della tua professoressa del liceo il giorno del suo compleanno e portarle un libro che sei certa le piacerà e rivedere quella casa in cui hai passato tanto tempo quando ancora era solo la mamma della tua amica. È bello essere contenta perché le persone a cui vuoi bene sono in una città bellissima, in cui tornerai ne sei certa.

È bello andare avanti, nonostante lo stordimento dei mesi passati, la fatica delle settimane presenti e l’incertezza di quelle future.

perché a 16 anni

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C’è una canzone che mi ricorda i miei 16 anni, una di quelle che nella mia autoradio mentale mi sono cantata tante volte nella testa. E continuo a cantarla, perché la sento ancora vera per me e perché sono in fondo un po’ nostalgica. Oggi la canto pensando a te.

La canzone si intitola Eskimo ed è di Guccini. La strofa che oggi mi sembra perfetta per te è verso la fine e dice “perché a 20 anni è tutto ancora intero, perché a 20 anni è tutto o chi lo sa”. Tu di anni ne hai (solo) 16 oggi, ma sei stato uno che ha deciso di anticipare i tempi da subito. E il tuo mondo è tutto intero, tutto pieno di possibilità, di rischi da assumersi, di sfide da compiere. Sei nell’età in cui puoi essere ogni cosa tu voglia perché hai le capacità intellettive, le energie fisiche, le competenze progettuali per realizzare ogni sogno passi nella tua testa. E questa prateria sconfinata di possibilità ti rende mutevole, allegro, preoccupato, capace di voli pindarici e di passetti piccoli ma inesorabili per arrivare alla meta, rivoluzionario. Ti rende un meraviglioso adolescente che si appassiona, si impegna, si dimentica, si ferma o corre. Tutto nella stessa (mezza) giornata. Quando riesco ad avere lo sguardo sufficientemente largo per non restare agganciata al tuo computer lasciato sul tavolo, ai vestiti buttati a caso, al latte che l’altro ieri dovevi comprare tu e invece ho comprato io, vedo che non so ancora cosa sarai tra 10 anni, ma sono certa che sarà qualcosa di cui poter andare orgogliosi, tu e noi.

Ma la canzone è perfetta anche per come prosegue “A 20 anni si è stupidi davvero, quante balle si hanno in testa a quell’età”. Si, sei stupido davvero. Quello è proprio un talento naturale, che coltivi con costanza. Quando tua sorella mi chiede perché sei così scemo, le rispondo che ti abbiamo voluto bello e non si può aver tutto.

Buon compleanno figlio, bello e stupido. Come solo a 16 anni ci si può permettere di essere.

finalmente

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Questa mattina ho aperto gli occhi e la luce entrava dalle righe della tapparella non completamente abbassata. Ho guardato la radiosveglia e ho deciso di alzarmi, prima che partisse il giornale radio.

Ho tagliato la torta salata che ieri sera avevo preparato, ho lavato le ciliegie, ho preso 6 contenitori diversi e li ho impilati uno sull’altro dopo averli riempiti.

Sono entrata in camera dei ragazzi, sono salita sulle scalette dei loro letti a castello ed è bastato toccargli le gambe per farli svegliare. Meno di due minuti dopo erano tutti e due in cucina sufficientemente svegli per fare colazione. Abbiamo mangiato insieme, abbiamo ritirato le tazze sporche, ci siamo vestiti e siamo usciti.

Finalmente questa mattina abbiamo avuto voglia di alzarci tutti. Finalmente abbiamo chiuso la porta di casa dietro le nostre spalle per tornare nel mondo. Finalmente stiamo tutti in posti diversi: chi all’estate ragazzi, chi da un’amica, chi a lavoro. Finalmente ricominciamo a respirare, perché i giorni prima di questo erano asfittici, arrotolati su loro stessi, ingarbugliati, pieni e inutili.

Abbiamo rispettato le regole, vissuto il distanziamento con rigore e costanza, protetto gli altri intorno a noi da qualcosa di cui potevamo essere portatori senza neanche saperlo. Abbiamo cercato di far sentire la gentilezza nel timbro della voce, nelle rughe che si formano intorno agli occhi quando si sorride, nei modi accoglienti e disponibili. Perché anche se quelle mura di casa ci hanno a lungo contenuto, anche se le nostre mani non potevano correre verso altre mani per stringerle non abbiamo mai avuto il dubbio che la felicità vera, quella che vuol dire compiere appieno la nostra vita, sarebbe tornata solo quando ci saremmo di nuovo messi in cerchio con altri, quando avremo ricominciato a mangiare con gli amici, a correre coi compagni, a crescere insieme.

Finalmente oggi siamo tornati nella nostra vita, tutti. E non abbiamo paura, seguiamo le regole e continuiamo (perché non abbiamo mai smesso) a fidarci del mondo. Ci sono ancora delle nuvole, ma come ripeto spesso ai miei figli “non esiste buono o cattivo tempo, esiste solo buono o cattivo equipaggiamento”. E noi siamo equipaggiati.

Con i centri estivi è iniziata l’estate ed è ricominciata la vita.

buon compleanno

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Ciao mamma,

sembra che il tuo compleanno sia sempre incastrato tra eventi complessi e pensieri ingarbugliati. Io provo a scioglierli questi nodi e a concentrarmi solo su di te in questi 15 minuti di tram. Per raccontare quello che sei.

Sei una donna determinata e discreta, con una serietà fuori dal comune. Non ricordo sfuriate e urla quando ero piccola o adolescente, ricordo un rigore assoluto e una fermezza che non si concedeva distrazioni. Se volessi trovare una parola per dire quello che mi hai trasmesso sceglierei “certezza”: delle regole, di quello che è giusto e di quello che non lo è. Ma anche di averti sempre di fianco a me, di poter sempre contare sul tuo aiuto e sul tuo sostegno. La tua fiducia nei confronti di noi figlie è sempre stata totale. Vedevi i nostri errori, i nostri sbandamenti, li correggevi con pazienza e rigore. Ma al tempo stesso ci davi sempre la certezza che avremmo potuto trovare una strada con l’impegno, il lavoro, la serietà.

Ci hai sempre accompagnato, un passo indietro, ci hai fatto sempre sbucciare le ginocchia e adesso portiamo orgogliose le nostre cicatrici, segni di una vita piena, intensa, variopinta. E adesso siamo capaci di stare qui sulla strada, con nuovi graffi ancora aperti sulle ginocchia, sicure che tu sei dalla nostra parte.

È diverso andare nel mondo con o senza amore addosso. Tu ci vesti di amore sempre.

Buon compleanno mamma.

sono passati due mesi

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Oggi sono passati due mesi da quando la mia quotidianità è cambiata. Nel frattempo sono (da poco) tornata a lavoro, a singhiozzo, senza il caffè al mattino, senza poter abbracciare i miei colleghi, senza pause pranzo a passeggio. Sono passati due mesi e do segni di cedimento sempre più frequenti e acuti.

Perché non ho più voglia di cucinare praticamente nulla, neanche la pasta in bianco e l’insalata. Altro che piadine, gnocchi, pizza e pane fatti in casa del mese di marzo. Ho esaurito le energie dedicate alla cucina per tutto il 2020, vorrei congelarmi per il secondo semestre e risvegliarmi nella nuova primavera, con un buono illimitato per il take away.

Non ho neanche più voglia di fare la spesa on line senza capire fino in fondo cosa sto comprando o di entrare nel supermercato sotto casa e pensare che quello sarà l’approvvigionamento per i 10 giorni successivi. Finisce che mangiamo affettati e carne per tre giorni di fila (i primi tre) e poi formaggio, uova, tonno in scatola per i sette successivi. Vorrei andare a comprare quello che mi manca ogni volta che ne ho bisogno, vorrei decidere cosa mangiamo alle 18,15 uscendo da lavoro e godermi con calma il sabato e la domenica mattina, pregustando i pranzi del weekend dai nonni.

Non ho più voglia di fare gli allenamenti della mia app di ginnastica, per mantenere una routine sana e disciplinata, per uscire dall’isolamento senza la tendina sotto le braccia, le cosce senza cellulite e le ciapet sode. Non ci sarei riuscita comunque a ottenere tutto questo, ma nelle ultime settimane la voglia di mettermi in una stanza da sola con un video che fa il conto alla rovescia degli squat è definitivamente uscita dalla mia porta di casa. Senza mascherina e senza guanti, ma tranquilli: penso si tenga a debita distanza da chiunque, sicuramente da me.

Non ho più voglia di diffondere ottimismo, coraggio, speranza e prospettiva. Perché quello che vedo alle mie spalle sono settimane faticose e impegnative, da tutti i punti di vista e non solo a causa del Coronavirus. Diciamo che quello che poteva andare storto ha fatto una curva di 90°, chi poteva stare zitto ha deciso (come sempre) di parlare a sproposito e nel momento sbagliato, chi era folle così è rimasto e continua a infierire nei momenti più difficili della mia vita. E quello che vedo davanti a me è ancora tanta fatica, prospettive incerte, serenità da conquistare.

Non ho più voglia di dirette facebook, webinar, formazione a distanza, articoli da leggere, incontri su zoom. Voglio vedere le persone in carne e ossa, voglio che ricominciamo a parlare interrompendoci l’un l’altro, voglio sentire tutti i rumori di fondo delle nostre case, perché nella vita reale non c’è il tasto per “mutare” (neologismo gentilmente offerto dai miei figli) il mondo intorno.

Non ho più voglia dell’estate, perché non ci sarà il viaggio che avevamo programmato e sognato, perché non so come saranno riempite le giornate dei miei figli senza la scuola, seppur a distanza, perché mi sembra piuttosto improbabile che possa essere stagione di concerti, passeggiate in centro, aperitivi con gli amici, sagre e feste.

Sono passati due mesi e io ho finito le risorse mentali e psichiche per affrontare tutto. Vorrei abbandonare la barca al suo destino e sfondarmi di cibo spazzatura e autocommiserazione. Proprio adesso che dovrei avere le energie per la ripartenza vorrei mettermi in stand by, in attesa di tempi migliori.

le cose che mi tengono a galla

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Oggi è un mese esatto che non esco da casa (sì, perché andare a comprare il latte, la verdura, ritirare la spesa con Coop drive, portare Jacopo dal dentista non lo considero uscire). È un mese in cui tutti i 30 giorni sono stati segnati sul mio calendario interno, uno dopo l’altro, cercando di costruire routine, alimentare progettualità, ricacciare indietro sconforto, noia, fatica.

Dieci cose mi hanno tenuto a galla.

I miei ragazzi, impegnativi e presenti. I loro bisogni da ascoltare, le loro cadute, i loro guizzi di generosità e altruismo. La loro vita che prosegue e di cui insieme dobbiamo continuare a progettare la strada.

Il lavoro che faccio, che mi incita a mettermi sempre in cammino e al servizio. Inventarsi modi nuovi per farlo, incontrare insegnanti e studenti, vedere la casa dei nostri autori è il modo che preferisco per sentirmi viva e vigile.

La cucina, croce e delizia di questa quarantena. Quando tutto questo sarà finito chiuderò i fornelli per qualche mese e vivremo di cibo da asporto. Ma cucinare è trasformare, far evolvere, dare forme diverse a ciò che si ha di fronte (e in tutto questo c’è qualcosa di catartico per me).

La scuola e gli insegnanti dei miei figli, che osservo dalle retrovie, sentendo lezioni della professoressa di italiano attraverso il muro che separa la camera dal salotto o guardando i compiti dati (e sempre corretti) dalle maestre. Sapevo già prima che eravamo stati fortunati, ma adesso ho proprio la voglia di abbracciarli e magari commuovermi un po’ con loro. Per quanto sono cresciuti in mezzo a questa tempesta i nostri ragazzi e ragazze, quanto abbiamo remato insieme perché la loro canoa superasse le rapide intera.

I libri, che non riesco a leggere con la concentrazione e la leggerezza che ho d’estate, quando le pagine scorrono una dietro l’altra. Ma loro sono sempre lì, con le loro parole per me, che mi curano e mi portano fuori dal qui e dall’ora.

La musica e la sdraio in balcone, in cui mi rifugio alla ricerca di solitudine. Perché sembra assurdo ma mi manca tanto il restare da sola, senza nessuno intorno. Rimpiango addirittura il viaggio quotidiano in tram per andare e tornare da lavoro.

La mia famiglia allargata, una rete che ha saputo stringere le maglie per non far scivolare nessuno fuori. Che ha messo insieme risorse, scambiato cibo e acquisti, consegnato a domicilio libri, verdura, semi e terra. E portato in ogni occasione vicinanza. Più di quella che dimostro normalmente.

Gli amici, quelli di sempre, quelli che già c’erano. Quelli che ti chiamavano prima, ti invitavano a cena prima, ti pensavano prima. Ci sentiamo più spesso, più spesso condividiamo foto di cose normali, vocali lunghissimi, chiamate, pensieri. Non mi sento sola in questo momento perché so che in tante case c’è lo stesso ottimismo della volontà che ci farà ricostruire un tessuto civile degno di questo nome.

Il sole, che se fosse stato un marzo piovoso avrei abbattuto i muri a testate e adesso vivremmo in un openspace. Il cielo azzurro di queste mattine non solo mi mette in pace, ma fa bene alle mie piante e al mio colorito. Così magari uscirò dall’isolamento con un’aria vagamente sana.

Il mio compagno di viaggio per eccellenza, che accoglie i miei momenti di sconforto e si lascia spronare dalla mia energia, quando a essere sconfortato è lui. So che non sono mai sola, che ogni prova la affrontiamo insieme e questo mi da una tranquillità incredibile. Ne usciremo comunque, sempre in due.

10 anni ai tempi del Coronavirus

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Il compleanno in quarantena è fatto di piccole bellissime cose.

Cose buone da mangiare, racimolate un po’ a fatica (la pasta cercata apposta nel negozio leggero, la torta fatta dalla nonna perché il robot da cucina si è rotto, la carne da fare impanata che la nonna aveva provvidenzialmente in congelatore (poi un giorno farò un post sulla capacità magica del frigo di mia madre di contenere sempre quello che serve).

Tutte le persone importanti della vita radunate insieme in due video chiamate: una coi 6 nonni, che si rivedono tutti dopo 1 mese di lontananza e parlano fra loro più che col nipote, ma il bello è proprio avergli dato l’occasione di vedersi tutti e sei. L’altra con gli amici speciali, gli zii e i cugini, persone che magari non si conoscono tutte, ma tutte hanno in comune il festeggiato e l’amore speciale per lui.

Dei regali inaspettati, spediti da amici lontani, un sacchetto da 2 kg di pasta, le foto e le lettere che raccontano quanto amore ci sia in queste stanze da cui non possiamo uscire, neanche nel giorno del tuo decimo compleanno Diego.

Se qualcosa stiamo imparando in queste giornate lente e sospese è che le cose che contano veramente non sono tante e dobbiamo curarle e coltivarle ogni giorno. Perché senza di loro, i nonni, gli zii, i cugini, gli amici, i compagni, i fratelli, la famiglia non saremmo noi, non saremmo felici.

Buon compleanno ragazzo, mi insegni sempre moltissimo.

giorni feroci

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L’isolamento tira fuori la nostra vera essenza. Funziona come un essicatore o uno scola pasta: va via tutta l’umidità, tutto ciò che non ci serve e che non fa parte della nostra pasta, ma che teniamo addosso per decenza, educazione, convivenza col mondo esterno. Quando il mondo esterno si riduce ai nostri consanguinei stretti (perché non vedo mia sorella da due settimane e i miei genitori li ho visti dalla soglia di casa quando gli ho dato la spesa), possiamo spogliarci di molto e restare nudi. Per qualcuno è un bene, per altri meno.

Nella lunga frequentazione dei social a cui mi sto abituando, vedo messaggi di vario tipo e molti paragonano il tempo che stiamo vivendo alla guerra o alla reclusione di Anne Frank. Sempre la conclusione è: di cosa ti lamenti tu che devi solo stare a casa, quando i nostri nonni sono stati chiamati ad andare in guerra; perché ti lagni tu che sei a casa da 10 giorni quando una bambina è rimasta nascosta due anni.

Sono convinta che se ci fosse mia nonna qui non mi direbbe queste cose. Sono convinta che se mio nonno fosse a casa sua a leggere i giornali e a informarsi non ci definirebbe degli smidollati perché affaticati, a volte annichiliti dalla difficoltà di gestire questa situazione. Perché chi è stato vittima di qualcosa di incredibilmente grande e sconvolgente, come la guerra o la deportazione, sviluppa empatia, non rivalsa. Non fa classifiche delle sfortune, ma si mette a fianco di chi oggi soffre, con l’umanità e quella capacità di trasmetterla di chi da lì, da un tunnel buio quanto il nostro, è passato.

Ieri parlavo con un giornalista che il mio meraviglioso lavoro mi ha fatto conoscere, e lui mi diceva che l’assenza di macerie ci fa avere un rapporto complesso con ciò che ci sta succedendo, con un pericolo che non tocchiamo con mano e di cui non vediamo le tracce intorno a noi. Un rapporto instabile, di chi finge sia tutto normale e poi precipita nella paura il momento dopo, di chi ride e piange insieme. Sto vedendo i miei figli cercare di mantenere un equilibrio, aggrapparsi con le unghie e i denti a tutto ciò che è la normalità (anche le lezioni e i compiti), saltare euforici in casa e poi piangere appoggiati al muro e dirmi che non ce la fanno.

No, mia nonna, mio nonno, nonno Micu o nonna Silvia non ci avrebbero mai preso in giro per la nostra fatica e per lo sconcerto che viviamo in questi giorni. Non ci avrebbero mai detto che siamo dei viziati e pelandroni. Ci direbbero, me lo direbbe nonna Bruna, che “quando l’acqua tocca il culo si impara a nuotare” e che avrebbe desiderato che imparassimo diversamente a scivolare sull’acqua. Ma questa è la situazione e dobbiamo stare nel qui e nell’ora, come lo è stata lei tutta la vita. Ringrazio che mia nonna non ci sia oggi, perché immaginarla affaticata dall’età e dai pensieri, preoccupata per noi e spettatrice di tutto questo sarebbe stata una sofferenza enorme per noi, la sua famiglia. Rimpiango che mi nonna non ci sia oggi, perché avrei avuto il suo abbraccio e la sua comprensione per la frustrazione che cerco di trattenere dentro. Per non contagiare qualcuno con la mia fatica, per non gravare sullo sforzo di altri.

Nuotiamo e smettiamola di dirci che altri hanno nuotato in acque peggiori prima di noi. Nuotiamo e riscopriamo la nostra umanità nell’oggi, comportandoci con vicinanza ed empatia verso chi abbiamo di fianco. È più facile essere solidali con chi non c’è più, ci toglie la responsabilità di metterci di fianco a chi c’è adesso. Teniamo il meglio di noi e lasciamo andare il resto, non solo perché tutto questo ci insegni qualcosa. Ma perché questi giorni che mai avremmo immaginato siano un po’ meno feroci.

isolamento, la disneyland delle mamme alfa

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Sei chiusa in casa, con tre figli e un marito. Ciondolate nelle stanze, senza uno scopo, neanche litigare diventa ormai interessante o forse è troppo rischioso. Perché poi resterete tutti e 5 nello stesso posto, sullo stesso divano che alla fine della quarantena dovremo cambiargli le fodere e forse pure l’imbottitura. Non hai neanche lavatrici da fare, che sembra incredibile quanto poco si sporchino i vestiti a stare in casa. Potresti pulire, ma non sei portata per la casalinghitudine e gli aloni sui vetri tengono pure compagnia in queste giornate vuote.

Sei in questa situazione di limbo, di “neccarneneppesce” quando senti il rumore di un messaggio di whatsapp. Come una mano che si allunga verso il tuo corpo che galleggia inerme a pelo dell’acqua, come un ombrello aperto durante una di quelle piogge incessanti di primavera. Forse il mondo ha qualcosa di bello da darti, in questa giornata vuota. Forse.

E invece no. È un messaggio di una mamma alfa, una di quelle che hanno già riordinato tutti gli armadi con i bambini, cucito nuovi vestiti coordinati per tutta la famiglia con le tende vecchie, fuso il cioccolato per le uova di Pasqua da regalare agli amici mentre i bambini con la pasta sale hanno preparato le sorprese da nascondere dentro le uova. Il tutto parlando sempre rigorosamente in inglese, perché il bilinguismo è importantissimo fin dalla prima infanzia. È una mamma alfa che ti dice che ha scoperto una ricetta nuova da provare con la prole, perché non possono mica guardare per tutto il pomeriggio documentari del National Geographic (ah, i tuoi guardano cartoni animati e video idioti? ognuno sceglie come educare i propri figli, i miei non saprebbero neanche dove trovarli).

Diciamolo: la quarantena è un parco giochi per le mamme alfa, per mostrare tutte le loro risorse, la loro creatività, la loro “alfitudine”. È il momento in cui possono veramente andare in soccorso del mondo e delle altre madri. Quelle che quando lavorano 8 ore al giorno riescono anche a preparare una cena dignitosa e invece in queste giornate senza tempo si ritrovano a cucinare la pasta al burro e a tagliare le zucchine appena prima di cena. Quelle che hanno fatto la lavatrice, ma la stendono comunque dopo un paio di ore da quando ha finito. Sarà che quel profumo di acqua stagnante sui vestiti è ormai aroma di casa.

Ecco mamme alfa, volevo dirvi che mio figlio piccolo si sta rifiutando da giorni di dipingere l’arcobaleno su un foglio, un lenzuolo, una maglietta o anche solo un post it. Volevo dirvi che i miei figli sono annoiati e nervosetti, un po’ come sono io, che sogno il momento in cui posso andare a buttare l’immondizia (e cazzo, ci hanno messo i bidoni della raccolta differenziata fissi per ciascun palazzo e i miei sono a solo mezzo isolato dal portone di casa, troppo vicino per prendere aria e respirare un po’). Volevo dirvi che quando potremo uscire alla fine di questa giusta, sacrosanta, necessaria quarantena credo che ciascuno di noi cinque prenderà una strada diversa e starà un po’ da solo. Questo vorrei fare: andare a camminare da sola, leggere un libro su un tram senza nessuno che conosco, con la musica nelle orecchie. Stare senza uno dei figli appollaiato sulla spalla tipo condor che aspetta di attaccare ciò che resta di me.

Cucino anche io, impasto il pane, faccio gli gnocchi, faccio workout e tutto il resto (tranne pulire). Ma comunque non è che proprio mi basti per essere felice e quando siamo a scuola e a lavoro e ad allenamento e a lezioni di strumento, sto meglio.

Con affetto, una mamma zeta.

in foto: il disordine della camera dei miei figli

didattica a distanza (o distanza dalla didattica)

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Ho tre figli, in tre scuole diverse. Ho tre registri elettronici da controllare, tre siti delle rispettive scuole. Ho tre chat di classe (si, anche alla scuola superiore c’è la chat dei genitori e si parla anche lì di libri persi e compiti troppo onerosi). Tutto ciò è già impegnativo in tempi normali, quando le giornate sono scandite da impegni che si ripetono con rassicurante regolarità.

In tempi di Coronavirus avere tre figli è una prova sovraumana. Perché le scuole sono chiuse da 6 giorni e non si sa se riapriranno tra un giorno o quattro. Perché le attività sportive sono sospese, poi riprendono, poi cambiano sedi e orari (perché userebbero le palestre delle scuole, quelle chiuse). Perché in ogni registro elettronico devi controllare circolari e avvisi, nuovi compiti assegnati, comunicazioni che vengono corrette o smentite due ore dopo. Perché in ogni chat c’è qualche famiglia che posta ogni articolo trovi sui social, diffonde notizie di casi di contagio nel bar del quartiere ottenute da fonte certa (il cognato dell’amante del macellaio che passava da lì per caso).

E poi c’è lei: la didattica a distanza. Che in alcuni casi (rarissimi) significa usare uno strumento già sperimentato in classe (Google drive) per dare qualche esercizio su argomenti già affrontati insieme. In tutti gli altri vuol dire aggiungere sul registro elettronico indicazioni del tipo “fare da soli il sistema muscolare, appuntarsi le domande e fare lo schema lasciando gli spazi bianchi per i concetti che non sono chiari”. Ecco, io non sono insegnante o pedagogista, ma non credo che la didattica a distanza sia questa. Non credo sia sbolognare a studenti a casa (con nonni, babysitter, vicini di pianerottolo o da soli) l’onere di fare parte del programma in autonomia. La didattica a distanza è qualcosa di molto più ricco e complesso, che si costruisce, come ogni buona pratica, in tempi “di pace”. E che si dimostra qualcosa di utilissimo in tempi difficili.

Perché nell’educazione serve sempre progettualità a lungo termine, non soluzioni improvvisate in situazioni di emergenza. Educare è seminare, non raccogliere. E neanche buttare semi in una giornata di vento.