trova le differenze

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C’è la mamma che si preoccupa. Fa mille raccomandazioni, verifiche e controlli su ciò che devono fare gli altri affinché la sua progenie arrivi sana e salva alla destinazione che ha in mente: la scuola media a due isolati da casa, il centro sportivo a due pullman di distanza, il supermercato di quartiere. Vive vedendo pericoli a ogni angolo, drammi in agguato e ovviamente complotti alle spalle del proprio cucciolo.

La mamma che si preoccupa prenota i libri scolastici prima ancora che il bambino o ragazzo in questione vada a scuola, chiede nella chat di classe l’elenco del materiale per l’anno nuovo il primo giorno di vacanza, fa un breve sondaggio per sapere chi parteciperà allo sciopero del giorno dopo in seconda superiore, conosce alla perfezione le previsioni del tempo in occasione di qualsiasi gita o uscita scolastica, in pieno lockdown vorrebbe entrare a scuola per recuperare il sacchetto igienico in modo da poter lavare tutto il lavabile (forse anche le copertine di plastica dei quaderni).

La mamma che si preoccupa fa video chiamate continue coi pargoli dall’ufficio, piomba di fianco alle scrivanie dei colleghi brandendo un cellulare da cui escono le urla di un minore che non ha ancora capito che ci sono i momenti giusti e quelli sbagliati per salutare le colleghe delle mamma e che si può usare un tono di voce normale e non sempre da gallina strozzata o da cartone animato. Tu stai scrivendo il progetto della vita e lei entra nella stanza col viva voce attivo, viene di fianco a te (che continui a tenere lo sguardo fisso sul computer, fingendoti imbalsamata) e ti piazza il telefono davanti al naso perché “la mia bambina vuole tanto tanto salutarti”. La mamma che si preoccupa quando può scegliere se usare 10 o 100 parole per rispondere alla domanda “come va la scuola di XY?” quasi sicuramente deciderà di usarne 110, per farti un quadro completo della situazione.

La mamma che si preoccupa è molto concentrata sulla sua missione di vita: evitare qualsiasi trauma alla creatura. Banditi i giochi competitivi, bandito ogni scontro verbale più o meno acceso, bandita ogni opinione diversa. Chiunque si interponga tra la creatura e la sua libera volontà si sentirà un pippone galattico di quanto ogni nota, sgridata, correzione, disappunto mini l’equilibrio psicofisico della creatura stessa, la costruzione della sua autostima e la realizzazione di un futuro radioso. Che questo voglia dire non avere consapevolezza dei propri limiti non è qualcosa che impensierisce la mamma che si preoccupa: il limite è solo uno stato mentale.

La mamma che si preoccupa fa tutte queste cose e qualcuna in più. Salvo poi arrivare costantemente in ritardo a prendere i figli a qualsiasi attività, farli arrivare il giorno sbagliato alle prove generali del concerto, del saggio o di qualsiasi cosa (e dire che non li hanno avvisati per tempo), imbarazzarli davanti agli amici (come quando mia nonna prendeva dalla borsa il fazzoletto e mi diceva “vieni qui che ti pulisco il muso” dopo che avevo mangiato il gelato).

La mamma che si occupa punzecchia i figli perché trovino informazioni sui treni e sui percorsi per andare in montagna con gli amici (più piccoli di lui e di cui sarà responsabile), ascolta la logistica organizzata dal 16enne e da dei consigli, passa molto tempo a confrontarsi e poco a fare. Non controlla, ma resta lì, nel caso servisse ancora un consiglio. La mamma che si occupa fa il percorso in pullman fino al centro sportivo con la figlia, osserva insieme le strade, i negozi, i punti di riferimento; fa scaricare l’app e insegna a usarla e poi ha il telefono vicino quando per la prima volta la 13enne in questione prenderà il pullman da sola per tornare a casa della nonna: non chiama, ma resta lì, nel caso servisse un incoraggiamento.

La mamma che si occupa non sa cosa stiano facendo i figli nel programma di tecnologia o di italiano e neanche se nella prossima settimana ci saranno tre interrogazioni e due compiti in classe. Ma a cena i racconti delle giornate di tutti i membri della famiglia si sovrappongono e spesso vengono fuori le cose più importanti della scuola: la discussione col compagno o con l’insegnante, la lezione molto interessante o noiosa, i progetti nuovi e le normali paure.

La mamma che si occupa a volte chiama i figli durante il giorno e a volte no, perché si fa prendere dal lavoro e dalle cose da fare, perché a pranzo esce coi colleghi e chiacchiera con loro, perché pensa che poi comunque ci rivedremo a casa tra poco. A volte chiama e chiede come è andata la mattinata, risponde quasi sempre ai loro messaggi e alle chiamate: a volte sono stupidaggini, altre volte cose più importanti. Le video chiamate non fanno parte delle sue abitudini quotidiane e il viva voce è un tasto sconosciuto.

La mamma che si occupa racconta che il confronto tra persone con opinioni diverse a volte può essere acceso, ma non deve mai prescindere dal rispetto e dalla correttezza verso l’altro. La critica è la benvenuta in ogni discussione, a patto che sia per costruire e non per demolire e che si usi lo stesso rigore nell’osservare se stessi e gli altri. La mamma che si occupa stimola la competizione verso se stessi, insegna che i limiti esistono e ci si deve arrivare molto vicino per conoscerli e imparare a superarli, quando si può. In qualche caso bisogna accettarli e usare tutta la propria forza di volontà e intelligenza per trovare soluzioni alternative.

La mamma che si occupa lascia autonomia e usa la maggior parte del suo tempo per fornire gli strumenti per camminare da soli e avventurarsi fuori dal recinto, non per controllare o chiudere il cancello. Resta sulla stessa strada e osserva il viaggio, intervenendo solo se veramente necessario o se richiesto. Si affida ai figli (e un po’ anche alla fortuna) e alla loro capacità di imparare dagli errori e rialzarsi da soli. Vive e lascia vivere, con tutti i rischi che questo comporta. Con tutta la bellezza che questo comporta.

è tutta vostra la scuola

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Le cartelle sono pronte, i pennarelli e le matite etichettate. Il diario non lo avete perché io mi sono dimenticata di portare la ricevuta del pagamento in segreteria. I quaderni sono tutti nuovi, i libri dei compiti hanno ancora qualche pagina con i segni della vacanza: una pagina spiegazzata, l’altra gonfia di umidità.

Oggi si va a scuola e nella foto di famiglia ci sarà un solo grembiule azzurro. Oggi si va in terza elementare, prima media e prima liceo, con tre orari diversi di inizio e di fine giornata (spero che non faremo errori nell’accompagnarvi).

Buon nuovo anno di scuola ragazzi, ai miei e agli altri. Affrontatelo con entusiasmo e passione, indipendenza di pensiero e autonomia, disobbedienza e responsabilità, protagonismo e curiosità. Accostatevi alle materie con mente sgombra e intelligenza brillante, ai compagni con rispetto per i loro pensieri e la loro storia, agli adulti che vi accompagnano con onestà e disponibilità a crescere insieme.

Non è niente la scuola senza di voi, sono solo muri scrostati e banchi scheggiati, piastrelle del bagno scritte e palestre con reti da pallavolo cadenti. Potrà essere tutto la scuola con il vostro impegno, le vostre idee, la vostra vita: laboratorio di nuove possibilità, famiglia felice, esercizio di democrazia, comunità e società civile.

È tutta vostra la scuola, non sprecate questa possibilità. Fareste del male a voi e a noi. Che stiamo fuori dalla porta e vi guardiamo crescere.

lontana dalla perfezione

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Ci sono quelle che sono le madri perfette: che scelgono un’educazione non urlante, il cibo biologico e il metodo cooperativo, che i figli non usano i videogiochi (o lo fanno con grande disappunto delle madri), che portano il pasto da casa a scuola perché così i figli mangiano cibo sano, che parlano dei figli in termini sempre positivi, ottimisti, dolci e comprensivi. E poi ci sono io che urlo e a volte mi sfuggono le sculacciate, che cerco di cucinare tutte le sere ma è il mio supplizio quotidiano e ne farei volentieri a meno (almeno un paio di giorni a settimana), che i miei figli usano i videogiochi e guardano video di youtube che io non controllo preventivamente, che non so cos’hanno mangiato i figli in mensa e quindi spesso a cena cucino la stessa cosa del pranzo anche se potrei controllare il menù settimanale, che descrivo mia figlia alle maestre come “superficiale”, che penso che il piccolo stia usando il proprio innegabile fascino e faccia da schiaffi per far innamorare le nuove maestre, che metto in castigo il grande anche per le dimenticanze di cui i professori non si sono accorti.

Ci sono le madri perfette che ti spiegano dal punto di vista sociologico, psicologico e qualcologico perché non faranno fare un’esperienza meravigliosa ai propri figli dal momento che si svolgerà in una zona sismica, come se in quel posto non vivessero più bambini. E poi ci sono io che ho già gli occhi che brillano al pensiero che il piccolo di casa possa vivere un evento così bello, coinvolgente, arricchente e che neanche mi pongo il problema di dove andranno, visto che quest’estate siamo stati per due settimane nella Francia obiettivo di tutti gli attentatori del mondo e abbiamo girato tranquilli e rilassati.

Ci sono le madri perfette che seguono i figli in tutto, li accompagnano in ogni posto, li sorvegliano costantemente, si fanno mandare le fotografie di ogni pagina del quaderno di prima elementare e sanno sempre quando ci sarà un’interrogazione o un compito in classe. E poi arrivano in ritardo di un’ora all’ultimo giorno di campo scout o a prenderli dopo un’uscita o chiedono se i capi non possono accompagnarli loro a messa o chiedono alle otto di sera quali sono i compiti per il giorno dopo. E poi ci sono io che a 12 anni lo faccio tornare da solo da basket anche se è buio, che gli affido il fratello piccolo e la cena sui fornelli accesi, che la mando a 9 anni a comprare da sola il latte o il pane, che non li accompagno mai agli scout perché vanno da soli, che non so cosa stanno facendo di storia o di geografia in seconda media e in quarta elementare, che faccio fare i compiti il sabato al piccolo e poi per il resto della settimana non ci penso più. E poi sono lì sul marciapiede quando scenderanno dal pullman dopo l’uscita in cui hanno cambiato i loro capi per vedere la gioia nei loro occhi, rinuncio a qualcosa di mio per vivere insieme a loro la messa a fine attività scout, ascolto dalla cucina i grandi suonare insieme il pianoforte e la clavietta, salgo sul letto del piccolo per farmi leggere due pagine del libro che ha preso in biblioteca.

Sono lontanissima dalla perfezione, lo so. E ne vado piuttosto orgogliosa.

 

passione educativa

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Loro sono istintivi e impulsivi. Hanno la mente sveglia e la lingua pronta, ancora più rapida dei loro pensieri a volte. Devono rispondere a delle urgenze interne che li spingono a prendere posizione su ogni cosa sulla base dei movimenti della loro pancia, dei sussulti del loro cuore, dei ronzii che circolano intorno alle loro orecchie.

Noi dovremmo essere capaci di apprezzare la loro voglia di partecipare al mondo, di esprimere un parere, di entrare nelle questioni mettendoci la faccia e la voce. Ma anche di fornire strumenti per mettere in relazione la pancia e il cervello, il cuore e la razionalità, le orecchie e la propria coscienza.

Loro sono estremi: tutto si pone ai margini di una scala di misurazione, nei territori del bianco abbagliante o del nero più cupo. Non ci sono vie di mezzo, non ci sono considerazioni su situazioni e frangenti diversi.

Noi dovremmo imparare dalla loro incapacità di prendere in considerazione il compromesso come possibilità, così forse smetterebbe di essere una prassi consolidata nelle nostre prese di posizione quotidiane. Ma anche aiutarli a togliere il paraocchi che gli fa  vedere solo una parte della questione e allenarli a indagare il tutto, considerando il contesto, provando a immedesimarsi nella situazione, esplorando la gamma infinita dei colori e delle sfumature che compongono lo spettro tra il bianco e il nero e che tutti i giorni abbiamo tutti davanti agli occhi.

Loro sono autonomi, vogliono fare da soli e camminare con le proprie gambe. Chiedono finestre per affacciarsi verso il mondo, strumenti per aprirsi verso una socialità ampia, che vada oltre i confini del condominio in cui vivono o della scuola che frequentano. Sono impavidi e fiduciosi che sapranno gestire i rischi, affrontare i pericoli e risolvere ogni situazione. Come nelle favole, dove l’eroe esce sempre vittorioso.

Noi dovremmo essere incantati di fronte all’ottimismo naturale che hanno nei confronti del mondo e all’autostima ancora tutta intatta, quella che gli fa pensare che hanno tutte le carte in regola per farcela, quella che le esperienze e i nostri cattivi insegnamenti intaccheranno irrimediabilmente. Ma dovremmo anche fornirgli il vocabolario per tradurre i messaggi che il mondo gli lancia addosso, la grammatica per conoscerne le regole, la bussola per sapersi orientare e ritrovare la propria strada. Dovremmo lasciarli andare ma tenere la porta aperta, perché sappiano sempre di poter tornare in casa a chiedere consigli, a trovare orecchie che li sappiano ascoltare e parole che sappiano aiutarli a interpretare ciò che vedono e ciò che provano, a trovare una mano tesa perché la possano stringere.

La famiglia cresce in età e i percorsi cambiano, ognuno gioca nel proprio ruolo di adolescente o di adulto e per la buona riuscita del gioco non può dimenticarsi di quello che è. Gli interrogativi diventano più grandi e mi coinvolgono direttamente perché per provare a trovare delle risposte possibili devo scavare dentro quello che sono, nei valori che fondano il mio essere e spingono il mio agire. La passione educativa è sempre lì, in agguato dentro di me, ogni volta che un ragazzo gravita attorno alla mia vita. Perché vederlo esplorare se stesso e il mondo è estremamente affascinante.

perché è bello lasciarvi andare

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Ci sono due zaini pronti in camera, con dentro magliette, calze, pantaloncini e maglioni pesanti. Ci sono due zaini carichi di allegria, paura di qualcosa di nuovo, voglia di godersi l’ultimo campo, entusiasmo, autonomia. Ci sono due zaini che torneranno infangati, con gobbe e sacchetti aggiuntivi appesi fuori perché la roba sporca occupa più posto di quella pulita, pieni di ricordi, emozioni, esperienza.

Lucia e Jacopo partono per il campo scout e io penso che è proprio bello lasciarvi andare.

Perché lontano da me scopro quanto siete autonomi e indipendenti, capaci di cavarvela e pieni di risorse. La mia vicinanza vi impigrisce e rallenta la vostra corsa verso i giorni che vi aspettano.

Perché i vostri piedi hanno misure diverse dai miei e le vostre gambe camminano ad altri ritmi. E nell’andare per il mondo ciascuno deve trovare il proprio passo per poi poter essere capace di stare a fianco degli altri, in un passo comune che tenga conto delle esigenze e dei tempi di tutti.

Perché il mondo è troppo grande e bello e pieno di esperienze per limitarsi a quelle che potremmo fare insieme. Avete l’energia e lo stupore dei vostri anni che non saranno mai gli stessi di quelli miei, perché la vostra sete di scoperta deve trovare più fonti per poter essere soddisfatta e al tempo stesso continuamente alimentata.

Perché non si educa mai da soli, ma con altre persone intorno. E le persone con cui andate sono nostri compagni di strada, fratelli e sorelle nell’educazione, tutti tesi verso lo stesso obiettivo, tutti appassionati dello stesso progetto, tutti innamorati delle stesse persone: la bambina e il ragazzo che siete, la donna e l’uomo che diventerete.

Perché i vostri sorrisi, le vostre chiacchiere, i vostri graffi e la vostra stanchezza raccontano molto più di quanto vedrebbero i miei occhi se fossi lì con voi. Raccontano non solo ciò che è successo fuori, ma quello che si è trasformato dentro di voi, mentre la vita scorreva, mentre mangiavate con gli altri su un tavolo senza tovaglia, mentre scoprivate il bosco, mentre affrontavate la fatica, mentre superavate la timidezza.

Allora andate, ragazzi miei, da soli per la strada. Andate a costruire il vostro futuro, andate a mettere un mattoncino sopra l’altro per dare fondamenta alla vostra persona, andate a scegliervi la strada e i compagni di viaggio, perché ognuno ha la responsabilità di fare delle scelte. Andate a vivere la vostra vita. E io sarò felice e serena, perché so che quello che vi ho dato e continuo a darvi ogni momento, ve lo portate dentro, sulle mani, negli occhi, nel naso e nella bocca, che se fosse solo dentro il cuore non uscirebbe mai dai vostri gesti, dal vostro modo di guardare il mondo, di annusarlo, di assaporarlo.

Sarò felice ed emozionata, perché vedere una bambina e un ragazzo che vanno da soli ad affrontare il mondo è sempre un’emozione fortissima e indimenticabile.

spio le loro vite

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Lo confesso sono una spiona. Non l’ho saputo finché non ho avuto dei figli. E ne ho avuto la certezza quando loro sono diventati sufficientemente grandi da potermi salutare e fare esperienze senza di me.

Spio le loro vite quando cerco di interpretare il mal umore di Jacopo tornato dall’allenamento di basket e aspetto che mi dica qualcosa. Aspetto, perché anche scegliere il momento in cui condividere una delusione è qualcosa che spetta a lui, non a me.

Spio la socialità inarrestabile di Lucia, le sue relazioni multiple e il suo magnetismo, la sua capacità a volte inconsapevole di essere leader nelle situazioni più disparate. Il suo talento naturale a fare ciò che serve quando serve, facendolo sembrare scontato e naturale.

Spio la voglia di lasciare il nido di Diego e la sua paura nel fare il primo passo. La sua curiosità per ciò che è nuovo, le sue risate cameratesche coi compagni di scuola e degli scout, i suoi giochi autonomi.

Spio le loro vite e, nel farlo, faccio un passo indietro. E come una vera spia cerco di non farli accorgere che io sono lì, che li osservo, che li ammiro. Decido di stare un po’ defilata perché il loro mondo vada oltre me, oltre le mie cure, oltre le mie aspettative e le mie apprensioni. Oltre il mio amore. Potrei esserci sempre, intervenire a ogni caduta che mi toglie il fiato, assistere a ogni prova, a ogni esperienza. Ma perderemmo tutti qualcosa.

Io perderei la gioia di veder Diego che torna felice da un’uscita, ripetendosi la stessa barzelletta con le sue amiche. Lui perderebbe l’orgoglio di avercela fatta a lasciare la mia mano, per scoprire che sa camminare da solo e di mani pronte ad aiutarlo ce ne sono molte altre.

Io perderei lo stupore di vedere Lucia organizzata ed efficiente a gestire da sola i suoi spazi e i suoi impegni, muoversi come se fosse a casa sua in palestra come agli scout. Lei perderebbe l’indipendenza che ha dentro come una voce che urla, un bisogno quasi fisico a cui non si può sottrarre.

Io perderei i racconti di Jacopo di quanto costa la pasta nel supermercato di Venezia in cui ha fatto la spesa con gli scout, discorsi degni della migliore delle massaie. Lui perderebbe la consapevolezza che diventare grandi vuol dire avere più spazio, per fare e per sbagliare, per scegliere. E per avere la responsabilità, nel bene e nel male, della propria vita.

Se fossi sempre con loro vedrei solo coi miei occhi il mondo. E invece ho la fortuna di avere anche i loro occhi che possono raccontarmi la realtà.

l’ho mollata

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Ieri sera, già nei letti, pronti per leggere prima di dormire. Salgo sulla scaletta del letto a castello per salutare Diego.

– Perché M. non c’era ad attività? –
– Perché non stava bene –
– Non c’era neanche E. –
– Sì, perché era a una festa –
– Della sua fidanzata – mi risponde Diego che ha sentito la mamma di E. raccontarmelo. – Meno male che quest’anno non ho una fidanzata –
– E l’anno scorso chi avevi di fidanzata? –
– E. ma poi è andata alla scuola elementare –

Dal piano di sotto interviene Lucia.

– Io ho un amico amico amico –
– E chi sarebbe? – le chiedo
– L., il mio compagno –
– Io sono l’unico single in questa casa – butta lì Jacopo, non so se per farmi indagare o per essere lasciato in pace e non subire domande. Ma credo più la seconda e rispetto il suo bisogno di riservatezza.
– Tu Diego quest’anno quindi non hai più la fidanzata? – torno sulla questione delle fidanzate a tempo.
– Ma, a volte ho avuto… come si chiama? –
– Beh, era proprio amore, ti è rimasta nel cuore al punto che non ti ricordi più il nome –
– Ah già, C., era lei la mia fidanzata. Ma poi l’ho mollata –
– L’hai “mollata”? – mi colpisce la scelta del termine soprattutto.
– Si, l’ho mollata. Sai le ragazze si mollano dopo un po’ se non ti piacciono più –

C’è sempre da imparare dai figli.

come si porta un maglione sformato 

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Se penso a te oggi che compi 9 anni, devo ammettere di non averti mai vista piccola. Sei sempre stata dell’età che avevi, ben accomodata nel tuo oggi, capace di cogliere ciò che stai vivendo senza farti distrarre da rimpianti passati o sogni futuri.
Se penso a te tra 10 anni, ti immagino come sei ora. Solare e tenace, autonoma e spontanea, dritta per la tua strada con la testa alta e il passo deciso.

C’è una canzone che dice “e sorridevi e sapevi sorridere coi tuoi vent’anni portati così, come si porta un maglione sformato su un paio di jeans”. Tu sei così, una che sa sorridere e decide quando farlo.

Ti auguro jeans e maglioni sformati da metterti addosso, bella ragazza mia.

11 anni, secondo tempo

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Martedì mattina, ore 9,30.

– Ciao mamma, sono Jacopo –

– Ciao Jacopo, tutto bene? – è anomalo che mio figlio mi chiami alle 9,30 di un martedì mattina, soprattutto se è in soggiorno con la scuola e senza cellulare.

– Questa notte ho vomitato, adesso sto un po’ meglio. Ti passo la professoressa –

La telefonata è proseguita e io mi sono immaginata scene apocalittiche legate all’episodio notturno. Lenzuola sporche, compagni svegliati nel cuore della notte che vanno a svegliare i professori, pigiama sporco e lavato nel lavandino della stanza.

Sbagliavo. Ieri Jacopo è tornato a casa.

– Raccontami un po’ come è che hai vomitato lunedì notte –

– Allora, siamo stati svegli fin verso le 3,30. Poi abbiamo spento la luce ma io non stavo bene e non riuscivo a dormire e poi alle 4 ho vomitato –

– Meno male che non dormivi, quindi sei arrivato in bagno? –

– No, ho vomitato sotto il letto, sulla valigia del mio amico –

– Oh no! –

– Solo qualche schizzo laterale, gliel’ho pulita io –

– E poi? –

– Poi ho vomitato la seconda volta, 10 secondi dopo –

– Avete chiamato qualcuno? –

– No, i miei amici dormivano. E poi ero stanchissimo e alle 4 mi sono addormentato –

– Io credevo che aveste svegliato i professori –

– No. Al mattino è arrivata la professoressa e ci ha chiesto se avevamo dormito bene e io le ho detto che avevo vomitato –

– … –

– Ma nel pomeriggio stavo già meglio, non ho comprato il gelato ma ho assaggiato quello di tutti e sono andato sulla ruota panoramica –

A 11 anni si vomita sotto il letto e poi si dorme. Si sporca la valigia dell’amico e la si pulisce, senza chiedere scusa o avere stupidi sensi di colpa e inadeguatezza. Si assaggia il gelato di ogni compagno (e chissà quanti oggi sono vomitanti) e si va sulla ruota panoramica.

A 11 anni si vive meglio che a 40.

 

che ragazzi stiamo crescendo

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Incontro M. per la strada, appena uscita dalla scuola elementare. La faccia è quella di chi ha dormito troppo poco.

– Ieri sono stata in gita coi ragazzi, sono distrutta. –

M. fa la professoressa di sostegno alle superiori, in una scuola che ai miei tempi si chiamava “magistrali”. E porta i ragazzi in gita, questa volta solo in giornata all’expo, ma a volte anche in soggiorno.

Mi è sempre sembrata una persona normale, responsabile, come la madre di due bambine deve essere. E invece devo ricredermi: M. è una pazza, un’irresponsabile, un’amante del rischio. Perché si porta in gita i nostri figli.

Perché porta in giro nel mondo 16enni che sono abituati da noi genitori ad avere un universo costruito intorno sulla base delle loro richieste, dei loro capricci, di ciò che oggi vogliono. Perché dà autonomia a persone che sono abituate a fare quel che gli pare senza preoccuparsi delle responsabilità, ma che prendono in mano il cellulare per chiamarci immediatamente se il pullman è stato deviato dalla loro fermata abituale, per sapere come tornare a casa. Perché stringe un patto con noi genitori, un patto tra educatori, in cui ciascuno dovrebbe fare la sua parte. E non sa che tutto quello che a noi interessa è che il nostro principe o la nostra principessa non soffrano, non abbiano frustrazioni, non abbiano paletti e confini. Che siano sempre felici, che crescano senza diventare grandi.

M. e tutti gli altri insegnanti sono dei pazzi irresponsabili. Non capiscono che noi genitori stiamo crescendo dei ragazzi che hanno mani enormi, per prendere ogni cosa, per afferrare ogni possibilità, ogni esperienza. Ma hanno cuori fragili, gambe troppo deboli per muovere qualche passo sicuro su una strada, occhi immersi nella nebbia del giorno che vivono, incapaci di vedere cosa ci sarà domani e cosa vorrebbero costruire. Stiamo crescendo ragazzi impreparati per il mondo e per l’età adulta e li lasciamo a loro, che invece li portano fuori, li mettono alla prova, gli danno spazi per sperimentarsi. E quando qualcuno cade (in senso letterale o figurato) ci arrabbiamo perché non li hanno saputi sorvegliare a sufficienza, perché non sono stati sempre lì a controllarli, perché li hanno lasciati camminare con le loro gambe. Perché li hanno trattati come persone e invece noi gli abbiamo affidato dei soprammobili che nella migliore delle ipotesi abbiamo spolverato e tenuto puliti per 16 anni o più, in bella mostra nella vetrinetta del salotto.